[…] talvolta basta una lettera (in questo caso una vocale) a mutare i destini ultimi o primi del mondo. Così è accaduto a monsieur Donatien-Alphonse-François, marchese di Sade nel suo viaggio in Italia negli anni a cavallo 1775-1776. Nel suo itinerario di ritorno in Provenza, procedendo da Roma verso Loreto, come era costume del Grand Tour, si imbatte, nei pressi di Foligno, uscendo dalla sua incantevole e attraente pianura per raggiungere l’altopiano, in un villaggio, chiamato Pole (sic), che per noi da lungo tempo è Pale, checcé ne dica l’abate Richard, il bersaglio polemico del giovane marchese (aveva allora 35 anni e si protendeva verso i suoi 36). Ebbene, sia come sia, al marchese sfugge per una vocale soltanto l’essenza stessa del luogo, che rimanda ad ogni luogo: ci si trova al cospetto non tanto dell’axis mundi (pole, nel Cambridge English Dictionary, significa palo, asta, pertica, ancor prima che polo in senso astronomico e geografico), come avrebbe potuto congetturare e non fa, preso com’è dagli sguardi panoramici, ma assai più in intimità, dell’origine du monde, con la dea Pale, da cui ruscellano le acque vivificatrici del Menotre. Eppure l’amenità del luogo non lo avrebbe dovuto sviare: in quel principio di delicatezza pittoriale del paesaggio, che lo sguardo coglieva, nella lieve fantasia che produceva nell’incantato viaggiatore, avrebbe dovuto scorgere, non oscurata dall’errore ortografico, la natura, soltanto la natura con il suo correlato mitico invece del bastone che la fa vorticare.

L’errore di Sade

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