La lettera di una persona perbene

La lettera con la quale la Presidente della Regione Umbria ha annunciato le proprie dimissioni[1] merita di essere analizzata come documento letterario. Benché meditata probabilmente da giorni, da quando, con gli arresti domiciliari dell’assessore alla sanità e del direttore generale dell’Ospedale, nonché del segretario regionale del Partito Democratico, era stata resa pubblica la sua posizione di indagata nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria sulla manipolazione di pubblici concorsi, questo tipo di lettera, scritta sull’onda emotiva dell’accavallarsi delle notizie del cedimento della struttura pattizia, e nel franare improvviso di terreni, fino ad allora ritenuti solidi legami politici, di amicizie, di relazioni, mette a nudo qualcosa che normalmente il linguaggio politico ed istituzionale meticolosamente e statutariamente occulta.

Un fine studioso perugino, J. M., disse una volta in un’assemblea studentesca che il linguaggio dei politici va letto al contrario, con una semplice inversione del segno positivo o negativo della frase: se è un affermazione, va letta come una negazione, se è una negazione come un’affermazione.

Questo credo sia vero in generale, ma non è vero quando il politico dismette i propri panni e, per quanto gli sia possibile, dismette il proprio linguaggio nell’annunciare il proprio ritorno allo stato laicale. In questo caso la verità si nasconde, certo, ma non nella maniera schematica descritta dal fine studioso perugino.

Se applicassimo il criterio ermeneutico rovesciato, la frase con la quale la Presidente esordisce «Io sono una persona perbene», dovrebbe essere decifrata nel suo opposto, «Io non sono una persona perbene.» Ma questo è un esito paradossale, buono per le barzellette del Corriere dei piccoli.

Qui il lavoro che occorre fare è diverso. È più vicino al lavoro del cercatore di tartufi. Occorre scavare sotto la superficie. Quando il politico sente cedere il terreno su cui saldamente incedeva, smette di fare il funambolo sulla fune del ragionamento rovesciato e nasconde il suo pensiero sottoterra, sotto o dietro le parole.

Normalmente una cosa si nasconde mettendo davanti ad essa una cosa più grande, che le fa da schermo.

Proviamo con questo metodo e torniamo alla frase iniziale: «Io sono una persona perbene». Quello che tutti vedono è il qualificativo perbene[2]. La parola persona scompare, è in ombra, oserei dire nascosta. Eppure è questa la parola chiave. Il Presidente afferma: io sono una persona. Anzi questo non lo dice, lo urla (sottoterra, a denti stretti). Una persona è due cose: 1. Una persona è un essere fallibile. Come nella Chiesa cattolica si distingue il sacerdote dalla sua funzione, così nella politica si distingue la persona dall’istituzione. La presidente vuol dire: se ho sbagliato come persona, ciò non invalida la mia funzione di Istituzione, che resta valida ed efficace e mi mantiene nell’empireo degli immortali (le istituzioni sono immortali, come la Chiesa). 2. Una persona è il nucleo più intimo al quale ritorna anche il più fiero eroe e combattente, oggi il politico. Il politico è come se dicesse: sono anche io un bambino. Basta, c’è un limite a tutto. C’è un limite agli intrighi, ai tradimenti, ai giochi di potere, c’è un limite a tutto. E questo limite si chiama persona. La Presidente dice sono una persona, non un apparato burocratico. Ho dei sentimenti. Ho una famiglia.

Seguiamo la scaletta gerarchica della lettera della Presidente, perché questo ragionamento trova ivi conferma.

La prima cosa che la Presidente scrive è il ringraziamento ai colleghi dell’Assemblea regionale e al personale amministrativo della Regione. Il ringraziamento va alla Chiesa nel suo insieme. L’eventuale errore della Presidente come persona non travolge il valore e l’eternità dell’Istituzione e la salvezza dell’anima di ogni appartenente ad essa, ed in special modo di colei che si è intronizzata sullo scranno più alto, seppur ora dimissionaria. Anzi, forse la Presidente dice ancora qualcosa di più, dice: non parlerò, non spiffererò nulla, non mi vendicherò, non tirerò fuori tutte le bassezze, tutte le porcate, tutte le vigliaccherie, tutte le ruberie, tutte le meschinità, tutti i reati, tutte le violazioni di cui sono al corrente e che se parlassi farebbero venire giù come un fondale di cartongesso tutta quanta l’Istituzione regionale, tutta quanta la Chiesa, con tutti i santi e tutto l’ordine sacerdotale.

Dopo una serie di frasi di rito, che sarebbe interessante analizzare perché ci offrirebbero numerose conferme alla nostra lettura, il secondo nucleo tematico nascosto è la famiglia. Scrive la Presidente: So così di fare la cosa più giusta e più coerente con i miei valori, quelli della mia famiglia […]. Qui si annunzia il ritorno all’altra istituzione eterna, l’unica che preceda la politica: la famiglia. Il ritorno a casa deve essere onorevole, e quindi anche qui se di errore si è trattato, questo errore non travolge la sacertà dell’istituzione familiare dalla quale provengo. La mia famiglia è una famiglia perbene, mi ha allevata nei sani principi del socialismo ed io ho allevato i miei figli alla stessa maniera, quindi non toccate questa dimensione o allora sì che vi faccio fuori tutti.

Il terzo nucleo tematico nascosto, che ai più sarà sfuggito, è il terremoto.

Qui si invocano le popolazioni colpite dal sisma e le si chiamano a testimoni dell’abnegazione con la quale la Presidente, come istituzione e come persona, è venuta loro in soccorso, ma, e si faccia qui attenzione, si invoca al tempo stesso, seppure implicitamente, un dio, il terremoto, una potenza tellurica che, nel firmamento privo di divinità, laico e socialista, di questa Presidente, sovrasta l’umano[3], una potenza demonica, etrusca, centro italica, che è ciò che alla fine governa le fragili, mutevoli, alterne vicissitudini umane del potere. E al cospetto di tale nume arcipossente la Presidente invoca la propria salvezza in quanto ha servito con abnegazione («umanamente») le popolazioni da esso dio toccate e colpite.


[1] 16 aprile 2019, fonte Il Corriere dell’Umbria, https://corrieredellumbria.corr.it/news/cronaca/798499/catiuscia-marini-si-e-dimessa.html.

[2] Perbene indica una condizione anteriore al giuridico. Ha a che fare con l’educazione ricevuta, con la famiglia e con la cerchia originaria, indica una inclinazione del carattere al bene e al rispetto che precede qualunque dimensione premiale o penale connessa alle regole dello jus. Essere perbene significa voler bene ai propri genitori, non mandarli all’ospizio quando sono vecchi, non dire parolacce, non prendersela con i più deboli. Spesso è associata in endiadi alla parola pulito. Credo che grosso modo il nostro perbene equivalga al termine latino pius.

[3] Le popolazioni della Valnerina, colpite dal terremoto del 2016, sono quelle «con le quali ho condiviso le fasi più difficili, ma umanamente più intense, del mio mandato istituzionale.» Non sfuggirà l’avverbio, che si oppone a ciò che appunto non è umano, perché divino o demonico.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...