Il dio dei pinguini

Dicono che non crediamo più a dio. Non è vero. Vi crediamo non meno di quanto crediamo che l’acqua che beviamo dalla bottiglia di plastica sia proprio l’acqua della sorgente altissima e purissima che vediamo raffigurata sull’etichetta. Non crediamo meno a dio di quanto crediamo a Messner. Se non credessimo a dio non vivremmo, non ce la faremmo, dovremmo avere negli occhi la mattanza dei tonni e il mare rosso di sangue mentre mangiamo l’insalata di tonno e guardiamo l’etichetta che ci rappresenta ancora dio, in veste stavolta non di esploratore ma di nostromo, di capitanfindus, con la faccia cotta dal sole e lavorata dal cerone e dalle intemperie.

Senza dio non ce la faremmo, perché quando compriamo una macchina nuova, anzi quando compravamo una macchina nuova, giacché oggi le macchine non le compriamo più ma le prendiamo in leasing, indebitandoci, quando prendiamo una macchina abbiamo in mente paesaggi mozzafiato, rossi canyons rocciosi, altipiani con nuvole messicane sullo sfondo, verdissime praterie scozzesi, in cui, suggeriti dalla pubblicità, ci recheremo, e non paurosi ingorghi stradali e grovigli di lamiere e sangue e arti sull’asfalto e ambulanze che tardano ad arrivare.

Però ci sono gli atei, i senza dio, gli agnostici, i quali, in nome della laicità dello stato e del mercato, hanno voluto imporre, pur essendo minoranza, un severo limite legale alla rappresentazione di dio. Sono una minoranza di intellettuali che ci tiranneggia, detto per inciso. Ogni etichetta del paradiso deve obbligatoriamente recare la dicitura «l’immagine è puramente evocativa e non rappresenta la realtà del prodotto.»

Ma come, allora quella bella lattuga sulla quale si adagiano filetti di tonno accanto a pomodorini ancora stillanti goccioline d’acqua, è tutta un’illusione?

Che gusto ci provano, questi atei, questi zelatori della nuda realtà, a toglierci financo questa semplice consolazione?

Ci rechiamo nei templi commerciali, facciamo code pazzesche prima di poter parcheggiare, poi finalmente entriamo nel paradiso dell’aria condizionata, e possiamo acquistare un pinguino. L’etichetta sulla scatola lo fa vedere bene il polo, i suoi immensi e perenni ghiacciai. I senza dio hanno fatto scrivere che quell’immagine è puramente evocativa e non rappresentativa. I senza dio dicono pure un’altra cosa brutta, che quei ghiacciai a breve non ci saranno più, che si stanno squagliando perché noi vogliamo stare freschi l’estate.

Echi del paradiso © erroredikafka.blog

Come fanno a vivere senza dio, senza pinguino, questi jettatori, questi invidiosi, questi propalatori di dubbio e di odio? Bevessero loro l’acqua del sindaco piena di cloro e di schifezze, andassero a sfracellarsi loro sulle strade con le auto accartocciate, andassero al polo nord loro e trovassero solo scorpioni e serpenti del deserto, mangiassero tonno insanguinato e ci lasciassero in pace, ci lasciassero adorare il dio delle acque fresche, dei tonni selvaggi, delle auto potenti e dei pinguini.

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